Tutti troppo impegnati a diffendere la territorialità della proprio felicità. Tutti molto ben disposti ad esportare sensibilità a distanze non inferiori a 7000km da dove si abita come se donarla a qualcuno che si ha vicino e che può ricambiarla anche sia cosa di minore valore e sminuisca tale virtù di cui in molti si fregiano ma in pochi possiedono veramente. Come se per sentirsi veramente bene si debba sempre passare sulle infelicità altrui. Bisogna sentirsi dire quanto qualcuno sta più male di noi per sentirsi meglio con noi stessi. Per sentirsi maggiormente appagati dalla vita. Mi domando quanto infima sia la nostra "razza" o più che altro mi chiedo in quale schifezza di società nichilista siamo costretti "ad essere". Attraverso quale sorta di razzista filosofia siamo costretti a ragionare quando si continua ad ignorare puntualmente chi si rapporta con noi. Quando gli si da il nostro disprezzo. La nostra inspiegabile indifferenza. E non c'è contrappasso che tenga né giustizia che valga. Specialmente se divina. L'unica è quella stupida e sommaria di cui non sono affatto amico ne conoscente. La vittoria del sensibile sta nell'essere sensibile. Non nella vendetta, non nelle ritorsioni, ma nel suo lento ed inesauribile donarsi agli altri. Quegli altri che ancora dopo anni se lo meritano.
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