È una strada ad ovest di Roma polverosa alla quale tutto si può chiedere. Tutto, compresa la destinazione dei nostri sogni ormai perduti: ritrovati in dei bunker sotto colline californiane simili a colli latini ospitanti future glorie imperiali. Gli si può chiedere il destino di chi l'ha percorsa e non ne ha visto la fine. Di chi si è fermato a metà per bersi un po' di Chianti, figlio dell'uva insieme ai confratelli bestemmianti inclini alla pelide ira. Gli si può domandare quanto grande sia la nostra fame: questa fame saziata dall'ennesimo pieno di vita effettuato al distributore alla fonte sgorgante della fetida esistenza. Se è lecito le si può gentilmente chiedere se sia opportuno attendere fino a primavera per innamorarsi dei soliti individui vuoti che circondano la nostra sfera d'influenza. Se è possibile lenire le sofferenze di un anno terribile grazie ad un vino rosso rubino distillato e fuoriuscito dalle nostre vene rubiconde e grasse. Le si può chiedere. Quello che non ha detto è che molto spesso e volentieri non ha tempo di fornirci la risposta che tanto desideriamo. La bugia artificiale che più ci aggrada per nascondere la verità celata nella polvere.
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