...controllati da supervisori occulti
Il pretesto. Le motivazioni giuste. Arditi come nessun'altro. La strada scorre velocemente. Ci lascia indietro e finisce prima di arrivare dove noi vogliamo. Semafori rossi e di altri colori. Azzurro cielo che copre il volto dei disperati. Un volante scappato al controllo di mani vacillanti e approssimative. Fuggiti da una banca che ci dissangua sempre di più. Scampati ad un travaglio inutile dispensatore di tristezza. Evitando il marcio sapore della bellezza. Sappiamo che rotolando lungo discese sconfinate arriveremo dove gli altri non riescono neanche a vedere. Domando la strada: nessuna indicazione buona. Tutti cercano abili stratagemmi per farti deviare e allungare. Noi siamo messi sotto spirito. Vacilliamo perché la terra trema a causa di sconvolgimenti mentali che ci seguono sempre. Ci sediamo vicino ad edere soffocanti che ci limitano il raggio visivo. Vediamo il riso di una bambina che ci comunica di non sapere come riuscire a ridere sinceramente. Vediamo in fondo ai suoi occhi la strada giusta per riprenderci appena in tempo. Nel momento più opportuno riusciamo a stersare da noi stessi donandoci attimi di convulsa e metodica calma. Inseriamo la quinta e ci immettiamo in un'autostrada lenta ma scorrevole. Calda, ma dolce nei modi di fare. Paghiamo il casello e usciamo, sbagliando, troppo presto. Troppo presto per dirsi soddisfatti. Troppo presto per complimentarci con noi stessi. Troppo presto per avere un rimborso spese per questo viaggio di lavoro intenso e poco gratificante. Manager in affitto. Ditte appaltatrici di strade che mai vedranno il mare. Mai nessuno sbocco per loro. Veicoli che viaggiano su corsie sbagliate e limousine imperlate di benzina che corrono infuocate lungo le strade desertiche di un agosto infernale. Troppi sanno che si sbaglia sempre troppo. Ma in pochi si accorgono che le strade sono tutte simili e che portano però in posti ben diversi. Tutti tra di loro uguali nella propria disuguaglianza. Troppo datati per essere originali e troppo vergini per potersi dire centro culturale di un qualcosa. Nessuno che ti spiega. Nessuno che ti guarda o vita. Tu ci scorri vicino. Ma c'è chi di te nemmeno s'è mai accorto. Continua imperterrito ad ignorarti nonostante i tuoi continui e accorati appelli per condurlo ad una salvezza apparente che sa di un salato sapore di veleno bollito in marmitte sterili e prive di qualsiasi bivio. Senza protezioni laterali e senza indicazioni giuste. Senza rocce di contenimento che arginano il tuo cadere o vita. Il tuo scivolare lento e sgraziato. Il tuo delirio costante che ci segue ad ogni nostro passo. E ad ogni passo ci affossa costringendoci a deviare verso direzioni ignote da cui non torneremo.
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