Solitamente vivente in questa terra
dove la morte risulta molto più che apparente
e motivata a fare tutti i giorni il suo sporco lavoro.
Avanza decisa, inospitale, indefessa
come tambureggiare continuo
di un esercito di scheletri
composti di ossa roteanti cariche
di rancore radiofonico.
Come l’incalzante incedere pesante
di passi salenti scale
eternamente eteree
della metro B a Roma.
Cadenza barcollante,
braccia, gambe disarmoniche,
odori di gomma bruciata
da tempo immemore.
Visione immediata di una giornata “uguale”.
Il frenetico vociare intorno a me
di facce vuote
che a ripetizione si alternano
confondendomi
donandomi confusione articolata
che mi impedisce di articolare pensieri e voce.
Un marasma di dolori tra di loro solidali
attesta la voglia di vita
degli ostinati piccoli esseri spirituali
trascinanti carcasse carnose
fatte di materiale cedevole, ingannevole
precipitose di invecchiare
solennemente destinate al declino.
Le offese più non valgono:
restano a testimonianza
di una vita che pretende molto,
forse fin troppo
e che non sempre da in cambio
quello che uno si sforza
di seminarci sopra.
Figli di un coito spinto.
Di una minzione priva di
sali minerali assorbenti
emozioni subumane.