La soluzione finale

La soluzione ce l’ho in grembo.
Pronto a sgravare.
Ad espellerla come
il peggiore dei tumori
di cui ci si vorrebbe disfare.
Esce!
Corpo sezionato in fette
sotto formaldeide.
Un puzzle umano
in accostamento
macabro inanimato.
La soluzione diluita:
lentamente scivola
nel fiume delle mezze verità
sussurrate a mezza bocca.
Un sospiro di morte aleggia:
sospiro di pane di segale mensile
mal lievitato e fin troppo cotto.
Un veleggiare stolto di fumi umani
elevatisi da ciminiere
di falso postumo stupore.
La soluzione confezionata in saponette:
ossa, grasso, lista di frattaglie
a comporre detergente vitale
ad alto costo.
Una spirale di vapori etnici:
acre odore, polveri sparate
solenne danza di pulente mitragliatore.
La soluzione finale al finale:
rapida, risolutiva e senza sequel.
Così va tra gli uomini di “cinema”:
set prestigioso, grandi risorse “umane”
ed un mondo tutto loro di comparse
di cui disporre a piacimento.

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La libertà avanza

Scrivo le mie rime al curaro.
Sento l’orologio battere ore inesistenti.
L’occasione fa capolino
cogliendomi alle spalle,
precludendomi nuove ed insperate possibilità.
La porta sbatte, si chiude dentro me:
vento glaciale fredda in un sol colpo i miei amici,
tiene a bada i miei conoscenti.
Si odono schiamazzi misurati, pacati, leggiadri,
intrisi di leggenda e misticismo.
Tremano i nemici
di fronte alla mia intransigenza!
S’attenua la speranza:
distrutta dai “miei” ragionamenti
farfuglianti ma altamente convincenti.
Gong immaginari donano a me lo scandire
di un tempo di cui ho scordato il battito,
di cui ho dimenticato l’importanza,
di cui ho testato in prima persona
l’estrema velocità impietosa dei suoi gesti.
Scorri mio tempo e non arginarti mai!
Che sia escluso un ritornare sui tuoi passi!
Nessun revival di ciò che è stato!
Non voglio rivedermi piangente sulle rive
di quel fiume, valico difficilmente superabile
del mio inferno personale,
in cui decido cosa infliggermi,
le accuse di cui voglio farmi carico.
Non attuo alcuna difesa:
un accettazione palese di ciò che ho compiuto
mi basta.
Il rintocco smette e poi riprende:
interruzioni salvifiche pari a tregue
di rifocillamento,
simili ad aria soave che risuona nel mio cuore
note lievi e gravi
al formare una maestosa e tonante
marcia di libertà!

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Isolati

Ogni uomo è un’isola;
la mia è desertica sulla costa,
florida e verdeggiante nell’entroterra.
Conosci te stesso e conosci il nemico;
nessuna battaglia sarà per te
fonte di disperazione e pianto
poiché ne uscirai vincente e trionfante.
L’alba luminosa e devastante
riporta luce su un mondo
completamente buio;
piccoli angoli illuminati lottano contro
l’oppressione nebbiosa, funesta e fin troppo
tenebrosa dell’elemento opacizzante chiamato
apatia, routine, stereotipo, appiattimento intellettuale,
conformismo idiota che fa fico e che rende parte
della “massa”.
Tutto ciò che ti fa sentire “accettato”.
Mossa ingegnosa di salici piangenti che si piegano
alla voce grossa ma non si spezzano;
aspettano di dare il potente colpo di frusta
nel momento in cui il nemico abbassa la guardia.
Gli abbiamo prospettato un vantaggio e lui ci ha creduto.
Gli abbiamo fatto credere di essere “deboli”
e ci siamo rivelati forti come
i flutti d’acqua impetuosi che distruggono le dighe,
sradicano alberi, mettono fine a vite piangenti
dalle quali lacrime nasceranno nuovi virgulti di
libertà.

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Inutili lettere d’amore

Nonostante tu sia così
stupenda
non trovo parole da dedicarti
perché l’amore in me
si è spento
al momento.
Torna a fasi alterne
come targhe di macchine
circolanti in maniera altalenante.
Balenanti scudi fatti
di parole effimere
cozzano contro le tue armi fatte
di estrema perfidia
e di astuzia raggelante e falsa.
Sorridente arpia fatta di belle speranze
e di gradevole aspetto.
Portatrice di felicità apparente.
Apparentemente sembri
una dolce anima fragile
e paranoica.
Facili maschere
ancora più facili da indossare
su quei lineamenti quieti al punto
giusto.
Amabile essere odioso
io ti vorrei nel mio letto adesso
anche se so che alla fine della
serata
vorrei sgozzarti personalmente
per impedirti di parlare.
Per impedirti
di dire cose
che da molto tempo
mi risultano noiose e ripetitive.
Divertiti nelle tue avventure
ma non raccontarmele.
Feriscimi ogni tanto
ma non farmelo pesare.
Maestra nel fare tutto ciò
che io odio o che non desidero.
Ti ringrazio di non esserci
mia cara.
Grazie.
Mai più lettere d’amore.
Mai più parole dolci per te.
Tanto so che non ti interessano.
Che le trovi inutili.
Tanto meglio.
Fatica risparmiata.

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Immagini confuse

Dovere di un cronista bendato
senza più nulla da raccontare.
Libertà di semplicità di
un condannato
a morte dalla sacra
inquisizione tecnologica
proveniente da dimensioni
asiatiche.
Amore messo in cuori
sintetici
che alimentano centrali
di odio nucleare.
Mondanità di chi vive
in un monastero
pervaso dal rigore
della castità irriverente.
Modalità d’uso troppo complicate
per aprire un lecca lecca
ripetute su lunghi papiri
in diverse lingue
cadute anche in disuso.
Pretesti di chi vuole
ottenere tutto l’opposto
di ciò che predica.
Ci sono curatori che si
fingono curati
e ci sono dei poeti che si fingono
tali.
Tali amici troppo facilmente
con i quali
fanno comunella anche con gli altri
generando solo lotte tra fazioni
verbali che non si comprendono più
pur parlando la stessa medesima
lingua.
Lingua d’oca governata
da eretici consacrati
ad angeli di un culto mistico
simbolico ed esoterico
portatori di pace e di conoscenza
occultata.
Bulbi oculari piantati
in una terra dove è difficile
far fiorire i frutti di quella
ragione che tanto abbiamo voluto
e che ci ostiniamo in vari modi
a distruggere in varie maniere.
Ci vorrebbe una nuova età dei lumi
che bruci molta tecnologia ottusa
che depaupera la tradizione e la
spiritualità libera
rendendola solo una
dimensione virtuale sostitutiva
al luogo preferito dall’anima.

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Il silenzio è già passato

Silenzio.
Notte ombre
gemiti e lampi.
Un silenzio di cose ripetute.
Di cose perdute nell’assenza
della voce.
Del rumore prevaricante.
Quel silenzio che suona
come il fruscio di una
penna
che scorre su di un foglio:
scorre con la leggerezza
dell’alito di vento
sospinta dallo stesso.
Sorretta dal medesimo
silenzio.
Modesta, mai sopraffatta
dall’ansia di essere chiacchiera
ambisce all’onnipotente
aula universale
in cui regna la quiete
la sinfonia
dell’immemore
silenzio.

Il silenzio è già passato:
come al solito inascoltato
dal succedaneo dell’uomo
totalmente inebetito
dal frenetico frastuono.
Dalla sua voce
rivoltante.
Rotto da pochi sussurri
inutili.
Debilitato dal puerile
civettio di comari e compari.
Il silenzio torna
ad essere
letale assassino
del pazzo
del bambino
della badante intimorita
dall’imminente scadenza del permesso
di soggiorno.

Il silenzio torna ad abitare
le sue valli
i suoi valichi inaccessibili
le sue pause
interminabilmente estatiche.
Il suo eterno soliloquio
si espande
nelle siderali oscurità di uno
spazio
da tempo conquistato
in cui da dominatore
assoluto
si aggira solitario
il nostro muto
avventuriero.

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Il lavoro hanno detto che nobilita… e che rende addirittura liberi…

Premesso ovviamente che si riesca a sopravvivergli

Non posso immaginare
il dolore da voi provato.
Posso solo piangere
di quelle lacrime pesanti
che non andrebbero
versate
a vent’anni
Posso solo commuovermi
di fronte alle vostre
testimonianze
dai più inascoltate.
Ignorate.
Quei pochi che le inoculano
portano in sé
quella dose di veleno
spartita
condivisa
sperando che vi possa essere
d’aiuto.
Quella morte bianca
che di puro ha molto poco
mi suona di macabro
pianoforte
diffondente note gravi
prive di ripresa tonale ottimistica.
Vi ammiro per il vostro
coraggio
che vuol dire speranza.
Per la vostra forza
che di secondo nome fa
risolutezza.
Per le mille prigioni
del lavoro precario
io invoco la giustizia di un
Dio
che spero non ci abbia
dimenticato.
Invoco lo spirito forte
che è in voi
come nuovo vendicatore
delle giustizie mai ottenute
che per sempre su questa terra
verranno sicuramente
ignorate.

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Il futuro non è scritto

Sogni denutriti alimentati
dalle speranze succulente.
Persistenza.
Anni vissuti pienamente
e giorni vuoti
in cui aspetti di vedere
il sole tramontare.
Amore sfumato
accompagnato da ritmi jazz
acidi, solidi
pieni di colori profumati.
Centrifughe passioni
strizzano cuori
intrisi di lacrime gioiose,
ilari,
un apoteosi di
foglie autunnali turbinanti.
Vortici candidi, soavi,
quasi una neve oscurata
da alberi imponenti
rappresentanti incertezza,
essenza primaria di una vita
che è in divenire.

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I compitini di un poeta

Essere un poeta è forza.
È imprimere i miei sentimenti nei sensi degli altri.
È donargli quel frammento di ricchezza interiore
che da tempo vanamente cercavano.
Mi piace sentirli nelle mie mani,
indirizzarli nei vicoli oscuri dei miei ragionamenti
pensarli come bimbi innocenti bisognosi di essere svezzati
verbalmente.
Mi piace trascinare nei miei dubbi le loro sicurezze.
Mi piace donargli tutte quelle speranze che hanno lasciato
sul fondo degli occhi di donne e uomini che non li hanno mai
capiti.
Mi piace essere un po’ balia un po’ puttana.
Dargli dell’amore materno e poi
nutrirli del sesso a pagamento della vita.
Mi piace non dovere metterli al corrente
della mia messa a nudo costante
e allo stesso tempo togliermi i veli della
purulenta verità che tanto mi “piace”!
Mi diverte esortarli contro la vana
esorcizzazione della paura che tanto l’inquieta.
Mi esalto nel mio gioco da sadico
impenitente prosciugatore di pozzi di parole
lì, in villaggi dove regna il sole del deserto verbale.
Dove loro, i miei affamati di lettere
tentano di attingere con bicchieri bucati
dalla cornucopia vibrante dei succhi tropicali dell’alfabeto.
Mi appresto a donarvi il mio epatico BURP
con tanto di riflusso verso l’alto di metriche dannate.
Mi sostiene l’idea di farvi danzare, viaggiare in tondo
sui miei fogli, intrappolarvi nei ritmi
sonori vorticosi e ripetitivi delle mie pagine.
Spirali auree in rapporto continuo e costante.
In giusta proporzione col mio mondo:
sono io quella giustezza tra l’intero ed il suo rimanente.
Mi rende euforico il sapervi disarmati
di fronte alla mia solidale presa di posizione
nei confronti di un amore che molto spesso non da
ma che va sempre difeso e conquistato.
Che va sempre rinnovato e rinvigorito
per non farsi prendere in controtempo
quando finalmente esso viene.
“Il giorno dell’amore viene come un ladro nella notte”.
Non era proprio così ma mi diverte
distorcere le vostre parabole evitando in tal modo
di farvi vedere i canali più insulsi
di questa apparente vuota esistenza.
Mi soddisfa sentirvi partecipi del mio dolore
e di rincuorarvi proprio perché sto male.
Mi sento come un Dio di quart’ordine che per voi
crea in continuazione inutilità che lascian segni nei secoli.
Essere un poeta è dotare altri
di mondi immaginari nei quali essere
schiavi o re, sognatori o terribili realisti attaccati alla sostanza.
Essere un poeta è fare i compitini alla fine
della giornata.
Tirare la carretta fino al prossimo pit stop
in cui fare il rifornimento, il pieno esistenziale
ogni anno bisestile.
Quei cicli che si aprono e si chiudono
sono segni di un tempo in cui mi sento ridondante.
In cui vago tra voi e me senza avere mai
riferimenti di nessuna sorta.
Senza avere punti fermi umani che mi aiutino
a sostenere la tesi di questa mia rotta turbolenta.
Disegnata sulla mappa della vita a tratti.
Trattata come fosse la strada del pazzo sulla quale
nessuno vuole intervenire con la propria presenza.
Essere un poeta è darvi tutto l’amore possibile
che molte volte mi viene in-giustamente negato.
Trasformare per voi la solitudine
nei raggi luminosi perforanti le oscurità
dei tempi moderni
è il mio lavoro talvolta alienante
che mi concede rare ma infinite
gratificazioni!

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Humburger sanguinolenti

Sdraiati su di un prato
ricoperto di erba sanguinante
sporcata dalle nostre sagome
lussuriose
sudiamo
sotto un sole giallo
dotato di raggi
ormai sterili
che non ci riscaldano più.
Ci stringiamo più che possiamo
fino a farci male
con lo scopo di tenere viva
la passione
che in noi è nata
e che le nubi degli altri
tentano
di offuscare e di spegnere
con la loro pioggia meschina
e contraddistinta dall’inganno.
Il loro piovere è un continuo sparlare
ed indicare con invidia
quello che loro non hanno
o che avevano e che adesso
hanno perso irrimediabilmente.
Da questo nostro stringerci
capiamo
che non ci staccheremo mai
l’uno dall’altra
perché siamo morti fuori
ma dentro siamo dotati
di forze
agli altri
sconosciute.

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