Mi chiudo nella tomba e non voglio sentire

È morta la poesia.
È morta la musica.
È morto tutto.
Mi chiudo nella tomba
e non voglio saperne
più niente.
È morta l’ispirazione.
Viene azzerata
da lavori alienanti
anche se ben retribuiti.
Mai credere di perdere l’attitudine
nel saper fare un qualcosa.
Mai rifiutare l’amore
anche se sicuramente
ci farà soffrire in futuro.
Mai ritenersi ciechi
quando si hanno occhi
più che funzionanti.
È la fine del divertimento.
È la conclusione inaspettata
che conferma le ipotesi di pronostico
di chi non si è mai arreso.
È la morte della credibilità.
Vane speranze.
Partite di scacchi
giocate solo a metà.
Pedine nere arroganti
la fanno da padroni
sottovalutando gli avversari.
È lo schiacciante pressare
di piedi giganteschi
che affondano
nel terreno.
Mai permettersi distrazioni
in periodi incerti.
Bado ad evitare
gli sguardi complici
soprattutto quando sono già impegnati
a guardare anche qualcun altro.
È morto l’ideale
di speranza
in cui credevamo.
È morto
ma l’ha resa bene
e non gli ha mai regalato niente.

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Marvels

Cangianti folate d’idiozia.
Repentini sbalzi di umore nero.
La Maîtresse è uscita a pranzo
insieme al Capitano
indossando il vestito buono.
Quello di una domenica malsana
fatta di ideali promisqui.
Fatta di gelide folate di vento alieno
imbellettata di cipria sopra al naso.
Al di sopra resta:
oltre la morale
oltre il benestare di una società
paramilitare.
Oltre il tuo stesso senso sciocco del pudore.
Monache dozzinali
comprate a pacchi come uova ormai
scadute o che nel migliore dei casi
sono state già fecondate
da un gallo arrogante.
Proprietario è San Michele.
Cavalli che mangiano capelli color fieno
alle persone esposte per troppo tempo al sole.
Confusione assoluta.
Pugni stretti.
Segni sul viso
come lividi continentali
che vanno alla deriva.
Separazionisti:
dividono i tuoi tratti somatici
rendendoti cubismo istantaneo.
Pronto in due minuti di frenesia epatica.
Brontolio. Burp.
Fame ancestrale per corpi vaganti
solo accidentalmente su questa terra.
Un abbraccio ruvido con l’asfalto:
riluce di un colore luminescente
che mi irradia di scorie nucleari
rendendomi nuovo paladino
di una casata di supereroi
di cui nessuno vuole leggere le gesta.

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Mare nostrano

Si naviga per mari strani.
Insoliti.
Ricchi di troppe barriere coralline.
Pieni di boe fuorvianti
e di bussole che segnano
soltanto “il nord”.
Sono mari ridotti a cenci neri,
scuri di un nero chimico ed oleoso.
Son distese di calma burrasca imperiosa.
Di vorticanti stretti avviluppanti
che fracassano chiglie,
distruggono alberi maestri
di vedette annuncianti
visioni di nuove terre.
Mari astuti di un dio inabissato
che raramente sale in superficie
Mari ingannatori e dondolanti.
Mari di cullanti sogni di loto soporiferi.
Son mari di porti saraceni dorati.
Mari di riflessi in laguna veneziana
raffiguranti mille San Marco della mente.
Son frastagliate superfici di cemento liquido
imprigionanti navi e natanti sprovveduti.
Son cantilenanti sogni d’oriente di pirati fenici
creati apposta per farci perdere:
il distacco dalla Realtà-Routinaria-Moribonda
per noi bucanieri dell’asfalto
è il regalo spesso inaspettato
di questo nostro mare personale
solcato di continuo da carrozze metalliche
montate su gommate ruote volanti.
Son mari di bellezza abbacinante
che fanno male agli occhi se li si fissa intensamente.
Son mari fatti così…
un po’ come uno li vuol vedere.
Trasformisti plurimutaforma liquidi
in costante evoluzione
ed in costante rinnovo!

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Mancanze indispensabili

Impostori senza
imposte alle finestre
e con troppe imposte da pagare
alle poste.
Impastati sul muro
sono colori
impostati
e impestanti
tutto ciò che toccano
con le proprie tonalità.
Giocolieri
senza giochi
con cui potersi
esibire
pascolano
per piazze gremite
di gente che
pretende spettacolo.
Offuscate visioni
di nere nuvole
fumogene
invadono menti,
fanno vanto degli sfolla genti,
si immolano sopra fiamme ardenti
che non li sfiorano neanche.
Giocano a fare
i martiri
in sacrifici inutili
ed esibiscono le ferite
in nome di falsità
evidenti e poco attinenti
con la realtà.
Solo percorsi fatti di sangue
nelle immagini
costruite nella mente
portano a cuori
intrisi di lacrime
sanguinee e genuinamente
sincere.

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Mai più

Ripetibili attimi
che non vorrei mai più vivere.
Segregarli dentro prigioni
dove accumulo segreti irrivelabili.
Irrilevanti formule poste
come sigilli al mio cuore
d’annata.
Sostituito da cloni ombra
che agiscono per me
e da me prendono
irrimediabilmente il volo.
Si defilano.
Con la mia vita interagiscono.
Se ne appropriano.
Odiano quello che amo
ed adorano tutto
ciò che più disprezzo e detesto.
Umida cella, segreta
posta in basso.
Scantinati.
Scardinati da realtà
a noi troppo care,
portati in paradisi allucinogeni
allucinanti
da abbacinanti fari
posti di fronte ai nostri occhi
increduli,
annichiliti,
svuotati del dono della vista.
Sostituiti da un cuore che pompa
solo per attendere
alla sua funzione vitale.
Sentimenti messi al rogo
come peccato capitale
indicibile e punibile con la morte atroce
nel mondo del capitale
insensibile,
inceneritore di sogni e
sensazioni positive.
Detrattore di speranza.
Trattore macinante anime,
trebbiatrice falciante
spiriti sognanti
mondi inarrivabili.
Facce, maschere da tragedia greca
diventiamo sempre più ogni
giorno,
un bel codice a barre sul collo.
Un’etichetta pronta per ogni
evenienza ed esigenza.
Creatori di emozioni in plastica
da sostituire alle nostre più
grandi speranze.
Nuotatori in mari vorticosi,
speranzosi di arrivare in un’isola deserta
dove fare il nostro naufragio.
Un perdersi nel mondo della follia
delle emozioni “vere”.
Vissute in prima persona.
Devasto venditori di sensazioni di terza mano
vendute per denaro a terzi
che non le apprezzano
e che giocano smerdando
i vani ed enormi
sforzi
delle persone per le quali lottano
ed alle quali inevitabilmente,
con un coraggio indomabile
si aggrappano.

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L’infranto sogno della speranza

Folli ali fatte di petali
di rosa bianca.
Rosa candida.
Rosa troppo pallida.
Bianche ali disperate
portatrici di una allegria
ormai perduta.
Insegnanti di speranza ormai
persi nel vento.
Riecheggiano le loro parole
fiduciose
fatte di nobile
ma purtroppo futile
voglia di rivalsa.
Un’umanità calpestante nobili
fiori immacolati
e troppo teneri per poter
vivere
in un mondo mangiatore
di giovani e delicati virgulti.
Ottimi pretesti per
non donare più delicate
corolle composte da petali
innevati
vengono alla mente di chi
si è scordato di avere
amato un tempo
la propria madre.
Assai diversa è la posizione del
fiore della speranza
sotto i raggi avvelenati
della follia egoista degli uomini.
Messo in uno scantinato cerca
rifugio e conforto
in chi anela ancora conquistarlo
e raccoglierlo
per farne nobile
dono
a chi è capace di riconoscerne
l’inestimabile bellezza.

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Lettera aperta ad un’amica

Io non sono triste.
Stai serena.
Accetto tutto quello che viene
senza avere in testa un progetto già scritto.
Tiro a campare come dicono a Napoli.
La mia vita è un insieme di altalenanti
sbalzi di umore.
Una sequela di incredibili
e marcescenti voli pindarici
verso la perdizione e conseguente risalita.
È l’impressionarsi su pellicole acide
di alcoliche sensazioni dormienti
all’interno dei nostri animi.
Parlo di me, ma anche di noi.
Del bene che mi vuoi
e del bene che a mia volta maldestramente ti dimostro,
cercando di ricambiare con goffagine,
le tue premure,
le tue spinte verso una vita “col sorriso”.
Il mio cinismo mi annienta.
Il mio nichilismo mi tormenta.

Ma è tutto un mondo di carte difficili da comprendere,
astruse,
dove l’unica cifra riconoscibile
è quella in fondo all’elenco delle voci,
simboleggiante il totale da pagare.
La tassa da versare sul fottuto contocorrente della “vita”.
La “vita” monotona delle nostre fredde città,
non la Vita con V maiuscola
che è degna di essere vissuta.
Quella vita allegra e spensierata,
alla quale tutti quanti aneliamo.
Parliamone di più.
Offriamo a noi stessi ogni giorno
uno spazio di riflessione diverso
dallo sfuggevole “rifarci il trucco”
davanti ad uno specchio.
Ed anche se questo suona molto e troppo
come un inno religioso alla vita,
e ti assicuro che non vuole esserlo,
sono per il lasciar parlare
“il Tedesco” all’università.

E teneramente ti confido che ti amo,
ti ho amata e ti amerò.
Soltanto come un amico sa fare.
Baci ai pupi solitari,
baci a noi sognatori,
baci a tutti quelli che hanno ancora la forza
di guardare in su,
oltre il proprio naso per rimirar le stelle.

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Le stagioni dell’equilibrio

In bilico su una guglia del duomo
di Milano
mi sveglio impietrito
assai poco preoccupato
della mia condizione di
equilibrista dello squilibrio
che mi porto in testa.
Penzolo da una parte all’altra
rischiando di spiaccicarmi:
non riesco a scendere
poiché le mie gambe sono di marmo
ma tutto il resto invece pulsa
di passione violenta e
irrefrenabile!
Dall’alto scruto e come Icaro
sogno un volo fatto di
ali di cera che si corrompono
al sole.
Il mio mondo
visto dall’alto
non ha una grande fotografia:
avesse perlomeno quel colore
intenso
di “cielo sopra Berlino”
a rendere più vivi i contorni
della mia anima affaticata.
Se solo avesse una piccola filastrocca
da farmi sentire,
una stupida canzone da intonare
quando si resta soli
in scomode posizioni
per troppo tempo
con le gambe che si atrofizzano
che preannunciano
l’avanzare della necrosi
che centimetro dopo centimetro
distrugge i miei sogni pornografici
che mi ero fatto di te.
Se solo ci si potesse vendere ogni tanto…
ricavandone qualcosa di veramente utile
per noi stessi.

Se… se… se…
Il mondo dei Se è talmente pieno
di abitanti
che già progettano razzi intergalattici
per spedirli nello spazio dell’incompiutezza.

Per quanto ne so, resto in bilico.
Cementato alla base.
Subendo di continuo l’azione di vertigini
che rivoluzionano di brutto
il mio mondo sotto e soprastante già instabile di suo.
Chiudo gli occhi per vedere meglio:
non mi fido di loro.
Un samurai cieco
che sulla via della vita
inciampa solo quando
tenta di guardare tutto
con gli ingannevoli
occhi della ragione.

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L’attesa

Oggi come non mai il mio futuro
è incerto.
O meglio, il mio cuore si volge solo
ad un singolo pensiero.
Un pensiero vivo, fatto di bellezza fisica
di straordinaria cultura ed intelligenza.

Aspettando che la sua incertezza venga spazzata via
che la luce di fronte ai suoi occhi si faccia sempre più
“Chiara”.

Passano ore veramente inesistenti tra un suo messaggio
ed un altro.
Ore vacue, lente, fatte di balenanti ombre cinesi che
combattono per non puntare a lei
ma che inevitabilmente
finiscono per avere sempre il medesimo soggetto.
La stessa identica forma suadente.

Sono momenti strani, non dico nuovi ma quasi:
mi ritrovo combattuto, quasi intrappolato.
Non ho più l’iniziativa:
impotente, come un condannato su un rogo ardente
fatto di luci giallorossastre
aspetto le sue in-decisioni.
Io
attore che ormai ha recitato la sua parte
senza sapere quale sia il copione da seguire
aspetto che la storia si dipani.
Aspetto combattendo interiormente i malsani
giochi del mio cervello,
cercando di evitare pippe mentali,
farfugliamenti inutili,
disperate flagellazioni dell’anima,
costruzioni fatte d’aria
per niente costruttive.

Stranamente calmo.
Impensabilmente intenso e deciso.

Aspetto serenamente un altro segno
della sua attenzione nei miei confronti.
Piccola speranza per un “qualcosa”
che è magicamente in divenire.

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La spinta entusiastica del lunedì

Oggi niente disegni.
Cartellina lasciata a casa.
Venuto tristemente al lavoro con i mezzi.
Telegrafico come non mai.
Pochi segni distensivi.
Nottata tormentata.
Tra visceri contorti e mente turbinante.
Un saluto fugace ad una
“giornata poco allettante”.
Un attimo passato su di un solco vinilico
tra un giro di puntina evitata
ed il suo nuovo approssimarsi.
Attacca la penna.
Concentrati su altro.
Un buongiorno ad un lunedì
in cui sono venuto di nuovo al mondo.
Poco santo.
Martirizzato come se lo fossi mai stato.
Spine che non entrano.
Ventola rumorosa.
Attaccapanni messo li…
presuntuosa statua moderna
randomica
di un artista altrettanto casuale.
Arriverà stasera
pronto a svuotare ram
ed altro ancora.
Scordare 24 ore
per cercare di riuscire
a svoltare in breve tempo
le prossime future 24.

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