Solidità.
Numero da bestia apocalittica.
Pigiama a strisce
su di un soffitto fatto di
umide stelle.
Indagatrici:
le tue mani che non trovano
quello che più arditamente cercano.
Pressoché fusi:
giunti quasi fino al limite
con la testa a pezzi
e le occhiaie cadenti, radenti
il dolce arco delle tue
tumide labbra.
Rasoi
falcianti giugulari
danzano come pericolosi
giullari
disegnando burlesche
sui volti di noi “diseredati”.
Affranti:
schiacciati dentro frantoi
dai quali escono
colando in macabra maniera
i nostri fluidi corporei
destinati ad esser olio
lubrificante
per macchine belliche
cariche d’odio.
Metallico è il suono
dei miei chiodi
conficcati nelle tempie.
Lancinanti le fitte
causate.
Portatrici di nuovi poteri
considerati dai più pericolosi.
Il punto messo a conclusione
di un poema
vale il tutto che non sono
riuscito a darvi.
Quel tutto che molto spesso
ma non sempre
resta fisso nella mente
attanagliandola.
Rendendola bomba ad orologeria
prossima all’imminente
e deflagrante
esplosione!
Autore: s.petrivelli
Ti ho amata
Ti ho amata,
per tutte le volte che mi hai lasciato.
Per tutti i tuoi egoismi infantili.
Per tutte le tue pretese da donna “matura”.
Per avere fatto sparire dal mio essere
qualsiasi spinta creativa infantile.
Per aver fatto di me, un immaturo,
una persona migliore.
Forse una nuova persona.
Un me stesso secondo te.
Ti ho amata ancor di più per le tue debolezze.
Per le tue tenere carezze.
Per quello che sapevi dirmi con gli occhi.
Ti ho amata specialmente quando non pensavi, parlavi poco
ed agivi tanto.
Per tutte le volte che sapevi quello che non facevi.
Ti ho amata per le tue controversie.
Per le tue scuse bugiarde.
Ti ho amata specialmente quando mi infliggevi
ferite al cuore che ricucivo con le lacrime.
Ti ho amata sempre, anche quando avevi quello
sguardo da stronza stampato sul tuo bel viso.
Per quanto meschinamente mi hai reso la vita
un inferno.
Ti ho amata, e questo è l’importante.
Tempus fugit
Ovvero Carpe Diem o meglio Campa cavallo e mangiati st’erba prima che altri se la mangino
Non darmi per scontato.
Anche se sono poco
o sono niente
non prendermi come
un qualcosa di già acquisito.
Io ti amo, ti sono vicino
ma non sono uno schiavo asservito
alla tua nobile anima.
Anche se ti ammiro
e di te desidero ogni centimetro
di materia spirituale.
Anche se per te
di follie stupide ed insensate
ne farei.
Per te faccio il cretino:
ti confesso cose che ad altre
non direi.
Dichiaro il mio amore per te
in maniera quasi naturale.
Semplice dirai.
Per me è un miracolo
che accade raramente.
Forse sei tu il mio miracolo
fin troppo caricato di significati.
Sei la mia giovane speranza
di sentirmi ancora ventenne.
Sei la problematica persona
bella variopinta
multisfaccettata come ritratto
sotto molteplici punti di vista.
Potrei dire che sei la mia fuga
dal banale, dalla routine
dalla normale esistenza che mi
affossa nei suoi inguinali istinti
primordiali.
La verità è che per te stravedo:
andrei nudo per le vie di questa
città malconcia
per provarti il sentimento alcolico
cardiaco che meco porto
e che ti porgo
visceralmente.
“To bring you my love”.
Ed anche se queste parole mai ti
raggiungeranno
io te le dico lo stesso:
nei miei sogni sei mia.
Non sono bravo a convincere
e forse di carisma ne ho poco.
Di charme ancora meno.
Di una cosa fottutta però sono certo:
sei il punto focale della mia “misera”
esistenza in questo momento.
Sei la mia messa a fuoco.
E quando penso a te tutto
è nitido.
Anche la vita.
Di solito opaca. Visualizzata
a chiazze.
Ti ringrazio di esserci
ma ricorda…
non darmi per scontato.
Io sono quel fiore che nasce
nelle discariche affollate
dagli stronzi.
Sono quell’alito fresco
tra mille bocche affette d’alitosi.
Sono quella timida dose di
speranza
donata a tutti e due.
Siamo speciali e stiamo bene
insieme a nostro modo.
Aspettando le tue decisioni.
Waiting for Chiara.
Un teatro, un attore che non
segue un copione.
Aspettando te.
Senza darmi per scontato.
Senza darti per scontata.
Escludendo ogni possibilità
di saldi
nel conto spese delle nostre
gloriose esistenze.
Sudore, afa e punture di zanzara
Non so più scrivere.
Le lettere sono soltanto
stupidi segni aztechi da interpretare.
Il silenzio avvolge le mie tempie.
Un rintocco secco di campane
annuncia la mia ora imminente.
Un disegno cancellato con gomma pane
ancora emerge dalle profondità del foglio.
I suoi rimasugli di grafite
mostrano l’estremo tentativo
di rappresentare il nulla.
Ho voglia di rileggere tutto ciò
e di reinterpretarlo ad ogni
mattino nuovo di un’esistenza cotta in carrozza.
Oggi è un giorno semplice
senza garrote che stringono
i testicoli.
È un giorno finalmente
normale.
Sdraiati. Orizzontalmente messi.
Fissando spazi di camera
ancora superficialmente inesplorati.
Di Dio non ho memoria.
So solo che è un bravo ragazzo
con il quale preferisco
non avere alcun rapporto.
È un momento strano
diviso tra grande saggezza
e stupida felicità.
È un attimo apocalittico
in cui decido di far fuori tutti.
Di visitarli uno ad uno
tirando fuori diagnosi fantasiose
di malattie imminenti e misteriose.
Un cinico a parole
che mette in pratica i suoi insegnamenti.
Una notte albina
con la quale condivisi il mio sesso
tra orgasmi altalenanti
e tra baci al sapore rosso ruggine.
Una vita sospesa
su diversi piatti di bilancia
equipollenti.
Una soluzione unica
per un sistemone a tre colonne.
Metti una X
sulla mia coscienza
e dammi per sconfitto
nel prossimo conflitto con la vita.
Missing in action.
Disperso in azione
e mai più ritrovato.
Di nuovo all’incrocio con l’indecisione
scelgo un posto di stasi permanente.
Pronto ad osservare le mosse altrui.
Pronto a deridere “i decisi”
che poi si pentono.
Un risveglio
che sa di giornata perduta
o meglio svoltata.
Giornata mezzo vissuta
tra un ripensamento e l’altro.
Giornata di fugace passione
nella quale reprimere
la mia anima in erezione.
Reprimere la mente che fugge.
Una casa in cui stare
senza obblighi di sorta da rispettare.
Senza ordini ai quali sottostare.
L’agnello sacrificale di un mondo
bambino che non sa neanche di esistere.
Storie!
Sarò anche un caso umano.
Lo psichiatra lascialo ad altri.
Ai deboli di spirito.
Problemi i miei che risolvo da solo.
I miei sono voli di aquila
sorvolanti lande dove regna
il pattume mediatico.
Dove alla costanza della perseveranza
si sostituisce la stasi temporale
della lassitudine borghese.
Dove la mia luna più non bagna
i miei arti pallidi.
Dove i miei sogni da maniaco omicida
restano relegati all’onirico regno
e non hanno possibilità di materializzarsi
nelle terre in cui regna il nano catodico
dispensatore di sorrisi melensi ed idilliaci.
Un mondo il mio in cui manchi solo “tu”.
Tra una birra e l’altra
il tuo pensiero mi assale
rendendomi migliore.
Inquieto.
Fortemente insoddisfatto
ti vorrei nel mio letto
per ore infinite.
Per ore eterne
vacue
fatte solamente di te.
Fatte di solitudine
apparente
di occhi penetranti
ignoranti il buio della mia anima.
Scavanti a fondo
mi mettono a nudo:
un nudo in cui mi sento a disagio
in cui so di essere indifeso.
Mi dono a te: carne inutile
la mia,
spero di essere ciò che più
ti soddisfa.
Un solitario caso da manicomio
che in te cerca salvezza.
Salvezza inaspettata.
Fatta di neri fili sparsi,
capelli di crine di cavallo
nero
che mi avvolgono, mi soffocano
e per mia fortuna
mai più mi lasciano.
Spiegarti un attimo
Sfuggevole rotazione cranica.
Sorprende la risposta data
ad un atto gentile,
senza pretese,
automatico,
istintivo.
Cose di cui ti costa
infinitamente
ammettere l’evidenza.
Arido, come le lande
nella quali soffia un vento gelido,
corrosivo,
dove si formano mulinelli
che inghiottono la vita,
l’amore,
si ingozzano
di sogni,
speranze,
discorsi positivi
che non vedranno mai
realizzazione tangibile.
Sogni senza risposte.
Sonno irrequieto
in cui ti trovi solo,
inefficiente,
poco predisposto
alle relazioni umane.
Quale bella sensazione
nell’essere disteso
su un tavolo freddo di acciaio
dove avvoltoi umanoidi
adoperano artigli come bisturi
danzanti
squartatori della
tua anima.
Compongo sgraziate opere
corporee
di cui porterai i segni
sempiternamente.
Ma non ci sono fulgidi ideali
che valgono quanto lo sguardo,
ed il sorriso di risposta di una donna.
Leggiadra, soave,
latrice di salvezza,
celante torture,
legami e schiavitù.
Sono
Sono un figlio dei tempi delle caste
ammorbato dalle tasse
mi rifugio nelle casbe!
Sono… i soliti ritornelli
che forman mulinelli di dubbi
gravitanti intorno a crani bacati
ammorbati da mille e più disturbi.
Sono quella apatia che governa
i nostri giorni
sono il distruttore dei tuoi
stupidi good morning!
Sono la mia pausa estatica
quando la faccenda è poco pratica.
Sono quella “merda d’artista”
che vale soltanto perché è mia!
Sono la provvidenza che mai arriva.
Sono il naufrago vagante ormai in preda alla deriva.
Sono il delirio dei tarantolati delle puglie.
Sono quel gotico gargoyle che ti scruta dalle guglie.
Sono… questa stupida composizione
questa città inerme votata al mal costume.
Sono la cattedrale che domina dall’alto
imponendo agli altri le mie divine decisioni.
Sono quella bibbia troppo controversa.
Sono la nostra sorte sicuramente avversa.
Sono l’amore, diverso da quello interinale
che molto spesso ci viene dato,
quando serve ad altri,
quando si sta male per qualche mese
e che si getta via dopo qualche sporadica
prestazione.
Sono l’espressione di me stesso, reale
come la corona di spine di cui mi ostino a cingermi.
Sono tutto quello che non vi aggrada.
Sono quel tutto universale che nonostante eterne lotte
giorno dopo giorno si degrada.
Sono il lirico funambolo percorrente in bilico
torrenti di parole come funi dondolanti
da un capo all’altro dell’alfabeto!
Sono la pretesa che sta roba che scrivo vi piaccia.
Sono quello sputo che sul Golgota raggiunse Cristo in faccia!
Sono la presunzione e la modestia.
La spocchia e l’accondiscenza.
La semplicità e l’arroganza.
Sono questo… sono quello… e sono pure quell’altro!
La cosa bella è che soprattutto…
sono tutto quello che qui non c’è scritto.
E molto altro di più.
Sferzate
Uso
per ammucchiare
lettere
un blocco da
DISEGNO.
Lo uso con la sapienza
del pescatore
grande paziente
conoscitore del mare.
Lo prendo a vergate
di inchiostro
lo flagello imponendogli
i miei glifi incomprensibili
che un giorno diverranno
nuovo cuneiforme
lineare B C oppure D
della mia lingua arcana
che tu studierai
in maniera diligente.
È il dilettante che si diverte
a deridere i maestri.
A fargli vedere nuove
vie
agli accademici occultate.
Ritorno al passato sul mio blocco
eludendone un altro
superando quell’ostacolo bianco
dove tutto è infinito
e dove basta ap-porre
il proprio segnale
distintivo
per renderlo finito
un sistema cartesiano
per il mio calcolo Qabbalahstico.
Per le mie Sephiroth
prive di significati esoterici.
Per i miei simboli molto più
che comprensibili.
Per le sembianze di donne
velate
ormai rese note
dal passaggio del vento
ristoratore dello tsunami
sudestasiatico.
Per queste ferite
inferte volutamente
al mio foglio mi condanno
a non pochi mesi di condizionale
con il proposito
di smetterla con ‘ste sevizie.
Puntualmente nascondo il flagello
pronto a stampare
a forza
nuove cicatrici
sul foglio bianco
dell’esistenza.
Senza senso
Mortali sentenze vengono lette
dall’alto di seggi imponenti,
sfarzosi e pieni di vanagloristica
ornamentale voglia di imporsi.
Popoli allo sbando e
sbandati che non
badano alle ciance
di cenciosi uomini ipocriti
calzanti cioce
e portatori di velenose parole
fatte di muffa ottusa e stagnante.
Acquitrini
pieni di acquose teorie
che aprono falle nelle menti
degli uomini che mentono a loro
stessi restando perplessi
nei loro abiti dimessi
cercatori di appigli tramite
i quali arrampicarsi.
Obbligarsi ad essere perfetti
in un mondo di tempi imperfetti
e di condizionali d’obbligo.
Le certezze dell’incertezza
piombano come falchi nella notte
sulle strade di chi
tranquillamente ignorava
la variabilità infinita
del fato.
Meritocrazia inesistente
valente solo per pochi lacchè
prediletti
che non si domandano mai
di che sapore sarò oggi la merda
che saranno costretti ad ingoiare.
Il mondo che io adoro
che mi mette
le spalle al muro e che mi da
la possibilità di vedere
quanto valga la pena
l’esistere in questo momento.
Siamo ridotti maluccio.
Aiuto non invocato.
Resto da solo.
Rest in peace.
Avvocato di me stesso
nella silicon valley
dove luci al neon accecano i miei occhi
poco globalizzati
e per niente vogliosi di
febbre d’azzardo
e di doppi petti
indossati da persone
dalla voce fredda
e dal cuore vuoto.
Sentimenti divergenti per animi affini
Scrivo per te?
Per me? Per noi? Forse per gli altri?
Facciamo che sto zitto
e che le parole siano soltanto
meri stupidi segni
di una vanità trascritta in simboli.
Quella vanità che era diventata forza:
quel vanto derivato dal tuo “pensiero”.
La bellezza del mio scrivere passato
ti deve molto… ma non tutto.
Ti deve quell’intensità nelle sensazioni:
dall’amore più profondo e spassionato
alla rabbia del rifiuto posticipato.
Non scrivo più per te o di te…
scrivo di un ricordo assai felice
che in ogni caso
ricordo resta.
E alle tue parole
ripetute quasi meccanicamente
rispondo con un sorriso
disincantato.
Quello di uno che
difficilmente
ormai ti crede.
Poiché volente o nolente
nonostante i suoi mille sforzi
nel non screditarti
davanti agli altri
ha perso la fiducia in te.
Ti ascolta
non più con le orecchie
dell’illuso
che spera…
ma con quelle di uno ormai
stufo
dei tuoi tentennamenti
e delle tue motivazioni vuote
che si perdono nell’antro
di quella che tu vorresti
amicizia
ma che risulta
improbabile
tanto quanto
l’amore
che io
stupidamente
speravo di ricevere
da te.