Spiragli

Prossimi allo spegnersi
i lumi della più volte decantata verità
traggono forza da quei pochi
che sotto terra tramano:
li riforniscono di anime sempre fresche
convertite alla sua luce,
rese pure dalle parole scritte che restano
e da quelle declamate che negli abissi
della memoria si perdono.
Resistono nell’ombra
accontentandosi di quelle piccole dosi
che tra decine di migliaia di cazzate
riescono a farsi largo
diradando violentemente
le nuvole del dubbio
addensate dai soliti noti
generatori di fumo!

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Wounded Knee

Un ginocchio ferito.
Un cuore seppellito.
Un genocidio come al solito
giustificato
dalla fame per la terra.
Questa terra divisa, sanguinante,
per la quale non si ha più nessun rispetto,
nessuna remora.
Un progresso non necessario.
Una fierezza che si è andata dimenticando.
Da questa ferita al ginocchio
nasce un mondo magico
mistico
fatto di animistiche credenze
di solitudini necessarie
per l’approssimarsi della giusta
visione.
Una danza di un sole ormai tossico
nero
non serve più per l’appartenenza ad un popolo
o per la maturità raggiunta
ma solo a commemorazione
di una verginità perduta
negli abissi totalizzanti
della bramosia umana.

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Visitors

Il verdone immacolato
sulle narici del mondo.
Cuore in subaffitto.
Finanziarie con
tagli netti all’amore,
depauperanti valori,
straccianti sentimenti,
annichilenti fiducia.
Fede custodita
all’interno di un portafoglio
ricolmo, privo di santini,
strabordante vomito,
latore di assiomi
finanziari.
Un lamento inconfondibile
echeggia per le valli degli
uomini-scimmia
capeggiati da un orango
vendicativo, rozzo e guerrafondaio,
accompagnato da scimmiette
codarde che giocano a fare i duri,
in quanto hanno e possiedono:
introiti provenienti da foreste di
banane raccolte in quantità
industriale.
Il piagnisteo ha come fonte
un uomo posto in catene
costretto da rigidi vincoli
“ambientali” ad essere
colonna portante
di un cielo che non riesce più
ad essere sorretto
da un solo “titano”
siderurgico, costituito di metallo,
stanco di essere macchina.
Diventati humus
per piantagioni di
sterco, siamo affranti per la puzza
ma non ci lamentiamo della sostanza
in cui nuotiamo.
La grazia estetica di un elefante
e quello che più
si addice
ad una “terra” senza profondità,
cava, ma priva di sorgenti
acquifere,
ricca di scorie radioattive fatte di
superbia, odio, ignoranza,
nelle quali tale
pachiderma,
con la sua grazia fisica, epatica,
sprofonda facilmente
nelle problematiche da lui stesso create,
nelle promesse fatte
e mai mantenute.
La solidità dei sogni
incrostati di povertà
sono le speranze nascoste
e mai rivelate
degli scimpanzè privi di potere
che si ostinano a vivere
senza lasciare “quella” soddisfazione
a quei pochi impertinenti
detentori di interessi.

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Vecchio

Sono demodè, vintage,
desueto, obsoleto, superato e sorpassato,
in due parole vecchio.
Non mi interessano gli orpelli inutili
della vanità umana
fatta di body sculture,
nail art, body art, rowing,
spinning,
fucking!!!
Si fottano tutti quanti
insieme ai loro vestiti
d’aerobica,
ai loro cibi macrobiotici,
insieme al veget-“arianesimo”
con tutte le loro decisioni
prese in funzione di style e fashion.
Una sola soluzione al “grottesco”
che regna e domina sulla nostra vita:
perché non ci si spara tutti insieme
come in Uganda!!!
Un bel suicidio collettivo
e ci autoeliminiamo
facendo un favore all’umanità
liberandola da falsi assiomi dettatici
dalla moda del momento,
dai consigli di falsi esperti di abbigliamento,
cibo e vino, design dell’interiore
oppure interiorità di interiora
depositate al banco del pegno del macello!
Al mattatoio!
Facciamoli a pezzi e
frolliamone la carne.
Un trita-macina-storpia-distruggi
cellule carnose
portatrici di proteici contenuti
e donatrici di nuova forza esuberante.
Sotto effetto limoncello.
Magari un’altra grappa.
Magari la facciamo finita e dimentichiamo
il grigiore dei palazzi che ci circonda,
che ci avvolge e ci inebria di grandissimo e desolante
umore grigiastro
donandoci nuovi mattini fatti
di smog creatore distorcente realtà radicate nei secoli
e trascinante persone in giro per la città
alla ricerca di nuove occasioni per produrre
biglietti color verde!

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Un volto nuovo

Una nuova odissea intrisa di eventi.
Grosse mareggiate: la perversità degli uomini
alimenta la burrascosa energia di onde docili.
Silenzio. Alternarsi di flebili aliti, respiri ansimanti,
gocce su gocce di sudore alpino.
Lande dal colore rossiccio, terra bruciata regnante nei canyon.
Un arabico giallo intenso color dell’oro
ubriaca menti sognanti che invocano con desiderio
il nome del compassionevole e misericordioso Dio!
Un’incantevole pasto nudo, consumato tra facce
“dissimili” portatrici dei tratti e delle spaccature della propria
terra-identità, sofferenze come testimonianza storica.
Speranze come sogni per un futuro
in cui l’anima avvelenata delle “nazioni”
venga restaurata ritornando magnifica,
conservando i suoi dolori come esempi per un “Mai più!”.
Conservando un cuore di fiamma all’interno di
una caverna gelida garante di longevità
abbiniamo in un sol corpo e spirito gli opposti.
Lotte intestine: magma di rivalsa, ribellione ed intifada.
Vento che sospinge nuvole di odio,
oro scuro stagnante sulle rive di mari “innocenti”.
Prendon fuoco arbusti secolari che apparentemente
sembran muti: un nuovo “elemento divino” ci parla
“dall’alto”
ricordandoci la bellezza delle foglie in autunno:
“Distoglietevi dai $oldi. Amatevi ed amate la vita!”.
Un letto di foglie leggere arde ogni giorno
ed ogni dì uno di noi perde il suo “giaciglio”
dove riposare.
Il suo mondo onirico in cui “sognare e sperare”.
Vaga lo sguardo all’orizzonte:
quella linea frastagliata, continua ma nervosa,
che ispira salmastra
un canto nuovo,
un rispecchiarsi di cielo terso e di un volto vuoto.
“Vuoto” nel senso di libero:
purificato da preconcetti,
mente calma come l’acqua e distante come la luna.
Un nucleo in rivoluzione, comprendente elementi,
fondente maldicenze, improperi maldestri,
snobismo da fighetti.

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Un timido innamoramento

Una ragazza mora
dal nome inusuale
che mi ha dato la salvezza
momentanea.
Una speranza effimera
tradotta in donna.
Felicità fulminea.
Passaggio repentino
dall’intellettuale noia
alla gioia più superficiale.
Riccioli come trucioli
cadenti da tavoli
di un falegname
sulle sue spalle frementi.
Mediterranea:
le solite notti arabe
in fondo ai suoi occhi neri
come abissi d’acqua scura con tanto di riflessi
alabastrini accecanti.
Sapiente architetto
del suo essere.
Costruttrice abile
e allo stesso tempo
fragile manovale
delle sue pareti
divisorie interne.
Una bellezza amabile
fatta di profumo
solenne
impossibile da ricreare
chimicamente.
Una promessa che non si può infrangere.
Una tenera carezza che riscalda
gli inverni siberiani degli uomini.
Una dolcezza di frutta fresca
appena colta dall’albero
del piacere fisico e spirituale.
Una presenza positiva
ricaricante batterie mentali
scarsamente ricche d’autostima.
Una simultanea dose massiccia
di fascino ed imbarazzo.
Quell’impacciato atteggiamento
di timida vergogna che tanto m’appassiona
e tanto mi conquista.

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Tutto come da copione

ovvero… è dura essere se stessi… sempre

Insudiciami verbalmente!
Donami il tuo fetore.
Domani fammi tuo.
Dopodomani scrostati
dalle mie pupille.
Ti dono i miei cristallini
di Boemia
così potrai dire in giro
di avermi rubato con uno sguardo
il dono della vista.
Violentami di te:
fammi credere solo per un momento
di averti fatto mia.

Dopo ricomincia a scacciarmi
a fare il tuo tira e molla
il tuo perverso gioco
nel quale ti piace
vedermi rodere il fegato
ad ogni tuo apparente
rifiuto.

Commuoviti quando ti dedico
versi che hanno dell’impossibile.
Imbarazzati:
fammi vedere che anche tu
tutto sommato
sei in parte umana.
Adoro le tue debolezze
che stenti a fare trasparire
all’esterno
(specialmente di fronte a me).

Ricucire i frammenti che ti compongono
è un lavoro che mi appassiona.
Che mi fa vincere
qualsiasi stupida timidezza.
Esplorarti è gioia trepidante.
È quel formicolio di eccitazione
travolgente
che possiede le mie
mani.
È quella canzone
strappalacrime
che
mio malgrado
ti dedico.

Se fosse qualcos’altro
credi proprio che te lo direi?
Che mi sbottonerei così
facilmente?
che ti rivelerei quanto
fragile e forte allo stesso
tempo
mi fai essere?

Vorrei tanto confonderti.
Lasciarti un po’
disorientata di fronte ai miei
comportamenti
apparentemente illogici.

Invece no…

L’unica cosa che riesco a fare
è…
innamorarmi sempre di più
ogni volta che mi perdo
dentro di te
che mi specchio nell’acqua
nera e torbida
dei tuoi occhi
rendendo la mia
immagine migliore
di quello che in realtà
È.

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Troppo stanco… nel mio letto

La morte nera in alto a sinistra
ridanciana si beffa delle opportunità inespresse.
Lieta si accinge a deturpare la bruttezza.
Pingue nel suo costume chiamato inutilità.
Si ostina a fare diete da anoressica modella ipocondriaca.
La sua scrittura cuneiforme
mal si adatta agli stilemi moderni.
Come anticaglia vivente in epoche non sospette
si accinge a svelare il vero.
Attinge da una fonte di speranza
privata di velo celante faccia
portatore di privacy inaspettata.

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Trono

Oltraggi da alti seggi
verso spiagge riempite da
paggi
dentro bottiglie gravide
di messaggi.
Polemici figli di oggi
colpiscono
le menti grazie ai loro
presagi.
Camminiamo su un ponte sottile
fatto di pietra leggera.
Fossili eterei
ritrovati sullo sfondo
di uno stagno nel quale
regna l’ingordigia,
fa festa l’avarizia
detta legge la spietatezza.
Moltitudini di persone
nullatenenti
vociferano cambiamenti,
si mettono in fila per elaborare
nuovi accomodamenti.
Sollievo.
Rabbia.
Detenzione abusiva o lecita
nei carceri della vita.
Nelle roccaforti del pensiero;
simili a oscure celle abitate
da frati iniqui,
grassi,
quasi nullafacenti.
Solitudine immensa.
Ansia da insuccesso che vince
sull’amore non fatto solo
di sesso.
Mortalità dilagante.
Scrivere senza la P.
Un’insegna per principianti al volante.
Volente o nolente
resto sempre seduta stante
il peggiore dei nemici
il migliore amico di chi riesce
ad allontanarsi.
Siamo pari.
Pori traspiranti nutrienti.
Trattenenti gas e liquami/scarti nauseabondi.
Organismo in subbuglio.
Scossi dall’ennesimo abbaglio
ci ritroviamo in visibilio
portatori sani di morbillo.

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Troia brucia

Un mirabolante assedio
alle mura di una città seduta su se stessa,
stanca, che non ha più nulla da chiedere
al mondo.

Destinata alla catastrofe.
Causa della sua disfatta.
principale detrattrice dei suoi intenti.

Incensi accesi da preti inconcludenti,
inadempienti, inoperosi
ed altri in che non mi vengono
in mente.

Solidali con se stessi, cittadini egoisti
poliziotti amanti degli eccessi
difensori degli oppressori
acerrimi picchiatori degli oppressi.

Assassini della mente benevoli
tiran fuori da cervelli malati
pensieri alquanto ragionevoli
lontani dalle alture che difendono la città
pensano a nuovi modi per accaparrarsi anche oggi
di che vivere.

Donne nascoste dietro il velo della verginità
covano all’interno una promisquità tutt’altro che nascosta.

Assedianti ormai stanchi se ne tornano a casa
convinti del fatto che quella città fatta di lenti
esseri prossimi al declino
porti tutto tranne che benessere e felicità.

Assomiglia un po’ al cuore di chi soffre
e si lascia morire di fame, di sete, di orgoglio,
di chi nel suo dolore langue e ristagna
non trovando mai la forza per riemergere e migliorarsi.

Storia di molti, di popoli, di donne e uomini presi/persi
nella morsa dell’egoismo umano.

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