Bella inaspettata

La voce oscura della mia anima parla.
Parla restando sulle sue assurde
“posizioni”.
In silenzio, guardo e piango
una terra senza profondità.
La rinascita dell’innocenza
intesa come tubo energetico
donatore di speranza.
Un fremito scuote le fronde caotiche
del mio cuore in fermento.
Un solidale fragore risveglia gli assopiti
nell’animo.
Sguardi ostili di animali che digrignano denti,
stritolano carcasse di pensieri ormai muti.
Quante parole inespresse tra di noi.
Quanti pensieri sommersi, lasciati li a porre dubbi
a minare le mie e le tue certezze.
Quanti attimi non vissuti o vissuti male
che non ritorneranno a darci un’altra chance.
Quante perplessità, quante stupide prese di posizione
che ci allontanano.
Quanto poco tatto mettiamo nei nostri rapporti.
Quanta poca importanza dedichiamo ai silenzi:
ci porgono su piatti d’argento
teneri cristalli fatti d’amore primigenio
che noi non sappiamo più cogliere.
Approfittiamo del fracasso per gettarci uniti
nella cornucopia vibrante di sensuali lamenti.
Mia regina delle “valli” stupiscimi ancora.
Comprendi queste parole equivoche
accettandone il giusto significato.
Mia dea dell’abbondanza mondami dai peccati
che non posso rimandare a nessuno.
Non siamo macchine, non siamo dei,
siamo solo uomini e donne deboli e fragili
assordati dal denaro, resi ciechi dalle apparenze.
Doniamoci entrambi una vacanza dalla solitudine.
Uniamo i mari che circondano le nostre isole
distruggendo con urla tonanti
la barriera corallina posta intorno ai nostri cuori.

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Belle frasi fatte di nulla

Non si è sicuri
di sicurezze infondate
nelle vacue parole
di uomini muti
che non comunicano che
a gesti convulsi
con un accenno di tremori
malsani
e odori fatti
di gas nauseabondi
insinuatisi
nel sottosuolo
dell’anima vagante
in mondi inesistenti
senza porre fine ad un discorso
che non trova puntini
di sospensione
o punti decisi
sui quali soffermarsi.
Aiuto dall’inferno
degli sgrammaticati
poeti
senza metrica ne pratica
vocale e abilità verbale tale
da potersi definire menestrelli
di un tempo passato
che deve ancora arrivare.
Noi soli in un castello dalla
forma particolare
invochiamo all’ombra di
pentacoli aurei pitagorici
l’avvento di ere devastanti
e sconvolgenti
che rivoluzioneranno
il nostro modo di essere
e di concepire la realtà.
Aulici versi e parole
che aspirano ad un climax
che sale e sale
senza fermarsi
alle vuote metafore della vita
spingendosi oltre
più in alto della coltre dell’ipocrisia
e dell’inganno.

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Attese interminabili sulla sponda del fiume senza passaggio di cadavere

Capita di dover attendere.
Capita…
anche quando non si è
immobilisti.
Anche quando di scelte se ne fanno
e non ci si può certo definire ignavi.
In attesa spesso di un qualcosa
che inevitabilmente non arriva.
Non vedo passare nessun sacco
contenente cadaveri di nemici
vecchi o nuovi.
Sento il lento scorrere del fiume
senza tonfi in acqua di corpi
ormai da tempo abbattuti.
Lo specchio d’acqua scorre compatto,
lento, senza neanche un turbinio
dovuto a rocce devianti,
ad ostacoli costringenti
a stupidi mulinelli castranti.
Non riflette neanche più
la mia figura familiare di un tempo.
Quella figura che come al solito agli altri non piaceva
ma che mi soddisfaceva in pieno.
Adesso attendo, ignorando totalmente quello che
tanto agognatamente aspetto da anni.
Non sapendo neanche ritirarmi da questa attesa.
L’alzarmi dalla riva e vagare.
Forse… non fa per me la riflessione.
L’altissimo pensare sulle cose che rendono
grande questa “mitica” e “misteriosa” vita.
Mi ritroverò ad attendere
perchè ormai questa è condizione
a me assai gradita.
Che mi si conface decisamente.
Che si sposa a me tipo simbionte
di aliene origini che s’impossessa di me.
Domina con le sue pulsioni irrefrenabili
le mie.
Domina: signora d’altri tempi che non mi lasci.
L’attesa ormai svanita nel vedere realizzato
il mio sogno in te.

Ne aspetterò un altro
forse meno bello
ma spero decisamente più felice
e votato a quel successo
di cui ci si carica totalmente
quando come fessi si lotta e si aspetta
per vederlo realizzarsi.

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Appartenenza

Capelli lunghi sporchi.
Odio immacolato.
Feticismo altruista.
Solidità dell’apparenza.
Tastiere senza le u accentate.
Fai copia e incolla
del tuo cervello ormai andato.
Mettilo in mirror con il tuo
bassoventre.
Odia tutte le schede madri fasulle
che non hanno l’overclock al cuore.
Siamo processori ormai smunti.
Ricchi di barba sopracutanea che
non ci permette di vedere.
Pieni di residui
notturni
che ostruiscono il nostro
apparato visivo.
E non solo.
Astio morbido
simile ad un budino freddo,
gelato:
alimentato da turbine ad aria fredda,
sostenuto dal vento glaciale che pompa
nei nostri alveoli.
È una notte buia e non c’è mezzo di
scamparla.
C’è la speranza torbida
che lotta inutilmente
con la spietata nitidezza della
superficialità e della sfrontatezza.
Immotivati sentimenti sorgono
dal nulla:
da una montagna di detriti chiamata
“esistenza”.
Epoche in cui non vorresti vivere
ed altre che non vorresti assolutamente
visionare.
Soddisfazione nell’immobilità dell’essere
e frustrazione del successo e della
facilità nel raggiungerlo.
Piacere nel lavoro ed ansia nel
trascorrere troppo tempo libero.
Ribaltoni che riportano tutto allo stato
primordiale.
Origine di un tempo
atavico, superato,
al quale, senza vergogna alcuna
appartengo fieramente.

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Animale di zona

Eclettico polistrumentista dell’anima.
L’animale primitivo che
si aggira furtivo
nella savana metropolitana.
Restando nella propria zona.
Infestandola di brutto.
Pretendendo per se
le strade, le piazze, le fermate
delle metropolitane inesistenti
e mai costruite.
Come territorio personale
di caccia
sceglie una foresta di lampioni
neonitici, alimentati a gas,
disperdenti feromoni incattiviti.
Felpato sull’asfalto è il suo passo:
non lascia traccia,
la benché minima.
Il suo calore corporeo è regolabile.
La sua presenza: non identificabile.
Estraneo alle scaramucce
delle scimmie.
Passa veloce, furtivo,
pronto allo scatto.
Inebetisce ed intimorisce
possibili prede abituate
all’ovvio
del tutto impreparate
alla sua spiazzante
presa di posizione tattica.
Frenetico aggirarsi nel limitare
della zona.
Muri invisibili,
psicologici,
fungono da freno
a questo preistorico felino
affamato di curiosità.
Azzanna con perforanti
denti di parole
insinuazioni verbali sfrontate
che invadono, ma non per molto
la sua zona incontaminata
ad alto potenziale urbano.

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Anfratti corporei

Sul filo di lana trovi
gravi perdite
e vittorie sfuggite
dopo estenuanti fatiche
e sacrifici
che hanno dell’impossibile.
Sul filo di quella lana
puoi trovare
golf mal imbastiti
che si sfilacciano
e che continuano
a smagliarsi
ingigantendosi
e facendoti diventare
obeso nell’anima.
Su quel fottuto
fil di lana
non rimanere in bilico.
Recupera equilibrio.
Mantieniti in forma.
Non si sa mai sopra quel fil di lana
cosa puoi trovare.
Bachi da seta ingordi
e fagocitanti.
Mantidi religiose
che dissacrano i tuoi ricordi.
Insetti stecco
che si mimetizzano
tra i mille problemi
che angustiano il tuo
cuore.
Meticolose ragnatele
di pensieri
costruite per intrappolarti
dentro un medioevo
dell’anima e della
tristezza
dal quale è difficile
andarsene
e dove tutto
sembra più amaro
di quello che è in realtà.

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An die freude

Inno alla gioia

Brindo alla vostra.
Alla gioia che mi esprimete
e che mi donate spontaneamente.
Alle poche persone per le quali
vale la pena sopportare
tutto il rimanente quantitativo umano
che popola pesantemente
le nostre vite.
A quelle poche amicizie vere.
A quella forza che ti sanno donare.
A quell’amore che ti fa soffrire
ma che ti da anche molteplici
soddisfazioni
e motivi più che sufficienti
ad andare avanti.
Per proseguire.
A quelle due ore al giorno
di semplicità, di rilassatezza,
di felicità, di risolutezza,
contrapposte a tutte le altre ore di routine
che ti fottono il cervello.
A quella gioia che raramente provi.
A quei pochi istanti perfetti
in cui sei finalmente protagonista
in positivo.
In cui puoi dire:
“fanculo al resto, che vengano pure
a buttarmi giù, io sto in pace con me stesso adesso!”.
A voi tutti che mi regalate motivi
per sentirmi meno vecchio di quello
che attualmente sono.
A tutti quegli amici che ho
stupidamente perso
e a quelli che per fortuna
ancora mi sopportano.
A tutte le gioie negate.
A tutte quelle lacrime versate
che purtroppo servono a molto poco.
A tutte quelle persone che felici
non sono.
A tutti coloro che cercano una strada.
La propria strada.
A tutte le esistenze troncate troppo PRESTO
e a tutte quelle che CONTINUANO.
A tutti quelli che le SPRECANO
e a tutti quelli convinti di poter
VIVERE IN ETERNO.
Che a patti con la MORTE
non vorrebbero mai venire.
A tutti quelli che non s’arrendono e
a tutti quelli che purtroppo
malgrado mille sforzi non ce la fanno.
A tutti quelli per i quali vivere
è una presa a male
e per tutti gli ottimisti cronici
per i quali anche la morte
grazie al cielo o a chi ti pare
è un ostacolo superabile.
A tutti quelli convinti
che basta rifarsi le tette
o avere una ferrari
per sentirsi realizzati nella vita.
A tutti i pazzi, gli assassini, i depressi,
gli egomaniaci, gli ubriaconi,
a tutto l’elenco di possibili relitti umani.
Ai “diversi” così tanto diversi
da apparire molto più veri
e credibili dei “normali”.
Agli “abbronzati” ai “cianotici”
Agli “itterici” ai “piccanti”.
A tutti quelli che vorrebbero avere
il proprio colore
senza desiderarne stupidamente
un altro.
A tutti voi.
Proprio per tutti una volta tanto.
Dedico il MIO inno alla gioia
personale.
Il mio europeo sfogo demenziale
composto di note inconcludenti
e stonate.
Alla gioia che spiga come grano dorato dalla terra.
Che in inverno
sotto la neve
dona ancora
speranza
alle bocche affamate
che attendono trepidanti
la primavera della vita.

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Amorevoli sprazzi

Mi sento come un film neorealista…
cecoslovacco.
Lento. Inesorabilmente lento.
Ti ho voluto bene: te ne voglio ancora…
ma ciò non ha mai contato
troppo…
Specialmente per te.
Il mio interesse
la tua finta verve momentanea
le mie pretese
le tue insulse scuse…
mentre dovrei pensare ad un’altra…
ma non ci riesco…
amo ancora te… anche se
solamente come un sogno
irraggiungibile
che mai più rifarò.
Sei stata la mia prima perfetta,
irripetibile.
Il mio climax estremo, altissimo
mai più ripercorribile.
Sei stata la saggezza
e l’irrefrenabile passione.
Sei stata la mia idea fissa
la mia musa ispiratrice.
Sei stata dannazione
e mite e lieve illusione.
Sei stata il mio adulto rossore
la mia solitudine ampliata.
Sei stata la mia voglia nella notte
il mio ardente desiderio d’amore.
Sei stata molte cose…
ma alla fine sei stata…
Sei un passato prossimo…
…destinato a divenire remoto.
Quel che mi dispiace è…
che sei stata di passaggio…
…quando io invece ti volevo
persistente nel mio cuore
e non solo in pupille
che facilmente tendono
a lasciar sbiadire
la tua immagine
latina
di vergine madonna degli eccessi
annunciante mille e più miracoli
che non contemplano il mio desiderio
di amore realizzato con te.

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Ammissione parziale

Ammettere a questo mondo
equivale a perdere!
Annettere, espandendosi
mentalmente, le idee degli altri,
farle proprie e distruggerle dalla
mente dei legittimi “creatori”
è cosa lecita!
Passare sui propri difetti e vizi
è cosa naturale
per puntare la luce indagatoria
dell’anima
contro chi si vuole scalzare,
distruggere,
spodestare!
Essere ciò che si vorrebbe e che non si è!
Essere abominevole che si aggira
tra di noi con fare lucente,
splendente, simile a diavoli caduti,
esseri di spirito ricoperti dall’afflato
del creatore, espiranti dolce calore
tentante e disturbante l’umano intelletto.
Ipnotizzano con lente parole dalle sembianze
“umane”
le nostre orecchie troppo sorde alle grida insistenti
e perforanti della nostra “ragione”!
Ci convincono di questo!
Ci parlano di altro!
Tergiversano, trastullandoci, sui veri significati
della vita
e ci riempiono di vacue notizie
buone per l’evacuazione intestinale!
Solitamente soli in mezzo agli zombie
del nuovo secolo.
Chi sopravvive all’attacco nocivo
di ste parole venefiche, mefitiche, a volte etiliche
viene preso dal vortice della pazzia
e dallo spettro della solitudine
acquisendone gli inequivocabili tratti somatici.
Trasformati in animali da soma per i bagagli
ingombranti degli esseri bigotti che ci tengono al morso!
Soggetti ad una metamorfosi in cui
non siamo altro che mosche costrette
a gravitare sulle loro “defecazioni”!
Feticisti del guano altrui!
Galline strafottenti covano uova di oro nero
senza catalizzatori di sorta
inquinando le nostre menti,
favorendo lo sfruttamento esterno,
privandoci della scintilla che genera l’idea!
Sottraendoci il beneplacito del dubbio.
Pianto amaro del nomade solitario nel deserto.

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Altro che Kubrick

Per quanto mi riguarda,
mi sembra che “la trama”
di questo mondo
sia in mano ad uno o più sceneggiatori
decisamente scadenti.
Che sia esso Dio o chi per lui
questo non mi è dato sapere
e non mi interessa affatto
ma la sensazione che mi danno,
che mi hanno dato, che mi diedero
(e che sicuramente mi daranno)
in questi anni è questa.
O forse,
lasciando stare Dio o chi per lui,
è molto più giusto pensare
che gli sceneggiatori scadenti
siamo tutti noi.
Che le nostre scelte drammaturgiche
facciano acqua da tutte le parti.
Che le inquadrature scelte
siano sempre di dubbio gusto,
retaggio di un tipo di cinema
scadente.
Ecco!
Forse lo sceneggiatore sta scrivendo
un B-Movie
e quindi è tutto a posto.
E non mi sembra che il regista
abbia molta voglia di intervenire
per migliorarne il lavoro.
Ad ognuno il suo!
Così ci teniamo il nostro bel lungometraggio
millenario
e continuiamo zitti a muoverci
secondo il dipanarsi della trama
che tutti i giorni ci scrivono
o ci scriviamo.
Qui, come ben sapete,
è sempre e solo buona la prima.
Ciak! Si gira!

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