Una ragazza mora
dal nome inusuale
che mi ha dato la salvezza
momentanea.
Una speranza effimera
tradotta in donna.
Felicità fulminea.
Passaggio repentino
dall’intellettuale noia
alla gioia più superficiale.
Riccioli come trucioli
cadenti da tavoli
di un falegname
sulle sue spalle frementi.
Mediterranea:
le solite notti arabe
in fondo ai suoi occhi neri
come abissi d’acqua scura con tanto di riflessi
alabastrini accecanti.
Sapiente architetto
del suo essere.
Costruttrice abile
e allo stesso tempo
fragile manovale
delle sue pareti
divisorie interne.
Una bellezza amabile
fatta di profumo
solenne
impossibile da ricreare
chimicamente.
Una promessa che non si può infrangere.
Una tenera carezza che riscalda
gli inverni siberiani degli uomini.
Una dolcezza di frutta fresca
appena colta dall’albero
del piacere fisico e spirituale.
Una presenza positiva
ricaricante batterie mentali
scarsamente ricche d’autostima.
Una simultanea dose massiccia
di fascino ed imbarazzo.
Quell’impacciato atteggiamento
di timida vergogna che tanto m’appassiona
e tanto mi conquista.