Non so più scrivere.
Le lettere sono soltanto
stupidi segni aztechi da interpretare.
Il silenzio avvolge le mie tempie.
Un rintocco secco di campane
annuncia la mia ora imminente.
Un disegno cancellato con gomma pane
ancora emerge dalle profondità del foglio.
I suoi rimasugli di grafite
mostrano l’estremo tentativo
di rappresentare il nulla.
Ho voglia di rileggere tutto ciò
e di reinterpretarlo ad ogni
mattino nuovo di un’esistenza cotta in carrozza.
Oggi è un giorno semplice
senza garrote che stringono
i testicoli.
È un giorno finalmente
normale.
Sdraiati. Orizzontalmente messi.
Fissando spazi di camera
ancora superficialmente inesplorati.
Di Dio non ho memoria.
So solo che è un bravo ragazzo
con il quale preferisco
non avere alcun rapporto.
È un momento strano
diviso tra grande saggezza
e stupida felicità.
È un attimo apocalittico
in cui decido di far fuori tutti.
Di visitarli uno ad uno
tirando fuori diagnosi fantasiose
di malattie imminenti e misteriose.
Un cinico a parole
che mette in pratica i suoi insegnamenti.
Una notte albina
con la quale condivisi il mio sesso
tra orgasmi altalenanti
e tra baci al sapore rosso ruggine.
Una vita sospesa
su diversi piatti di bilancia
equipollenti.
Una soluzione unica
per un sistemone a tre colonne.
Metti una X
sulla mia coscienza
e dammi per sconfitto
nel prossimo conflitto con la vita.
Missing in action.
Disperso in azione
e mai più ritrovato.
Di nuovo all’incrocio con l’indecisione
scelgo un posto di stasi permanente.
Pronto ad osservare le mosse altrui.
Pronto a deridere “i decisi”
che poi si pentono.
Un risveglio
che sa di giornata perduta
o meglio svoltata.
Giornata mezzo vissuta
tra un ripensamento e l’altro.
Giornata di fugace passione
nella quale reprimere
la mia anima in erezione.
Reprimere la mente che fugge.
Una casa in cui stare
senza obblighi di sorta da rispettare.
Senza ordini ai quali sottostare.
L’agnello sacrificale di un mondo
bambino che non sa neanche di esistere.