Scrivo le mie rime al curaro.
Sento l’orologio battere ore inesistenti.
L’occasione fa capolino
cogliendomi alle spalle,
precludendomi nuove ed insperate possibilità.
La porta sbatte, si chiude dentro me:
vento glaciale fredda in un sol colpo i miei amici,
tiene a bada i miei conoscenti.
Si odono schiamazzi misurati, pacati, leggiadri,
intrisi di leggenda e misticismo.
Tremano i nemici
di fronte alla mia intransigenza!
S’attenua la speranza:
distrutta dai “miei” ragionamenti
farfuglianti ma altamente convincenti.
Gong immaginari donano a me lo scandire
di un tempo di cui ho scordato il battito,
di cui ho dimenticato l’importanza,
di cui ho testato in prima persona
l’estrema velocità impietosa dei suoi gesti.
Scorri mio tempo e non arginarti mai!
Che sia escluso un ritornare sui tuoi passi!
Nessun revival di ciò che è stato!
Non voglio rivedermi piangente sulle rive
di quel fiume, valico difficilmente superabile
del mio inferno personale,
in cui decido cosa infliggermi,
le accuse di cui voglio farmi carico.
Non attuo alcuna difesa:
un accettazione palese di ciò che ho compiuto
mi basta.
Il rintocco smette e poi riprende:
interruzioni salvifiche pari a tregue
di rifocillamento,
simili ad aria soave che risuona nel mio cuore
note lievi e gravi
al formare una maestosa e tonante
marcia di libertà!