Preghiera

Graficamente assai distante.
Culle vuote
e infanti scappati
alle grinfie di mamme
molto poco materne
che di dolce e
comprensivo non hanno
nulla.
Niente è quello che ripropongono
di fare.
Niente.
Come il battere incessante di una tastiera
che compone lettere all’uranio impoverito.
Vado a capo solo quando ne sento
la necessità.
Non rispetto metriche come regole
da superare
e anche se suona male
a me non dispiace.
Puristi della voce
e della lettera
messi a confronto con
“i puri” nell’anima
non reggono affatto l’impatto.
So solo che mediamente non ci sto.
Le scritte su di un muro bianco
valgono quanto
le prime esperienze
che uno raccoglie.
Le prime monete
che ti danno come elemosina
in un angolo buio di una piazza.
Solo e febbricitante.
Vorticosamente flashato
e lasciato a marcire
in un martirio
di impotenza
che resta al mio interno
latente
e come se fosse energia nascosta
e sempre pronta ad esternarsi
nei momenti più difficili
dell’esistenza.
Così parlò chi ti pare.
Amen.

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Paroole caganti

Metallo sanguinante.
Corsa febbricitante
verso un ignoto
ormai fin troppo certo.
Voglia di scrivere
“lettere d’amore”
pari a zero.
Lacrime vermiglie
sporcano cuori candidi
come neve immacolata
bagnante qualunque
cosa tocchi.
Scrivere a mano
lettere che puoi
digitare solo
da tastiera.
Diventare analfabeti
con il tempo
e vantarsi
del livello raggiunto
in questo campo.
Solidarietà morta
a suo tempo.
Voglia di resistere.
Questo è il “Rock”.
Noi ti salutiamo adesso.
Chiudono le vie di comunicazione.
Roger roger.
Ed un’altra inutile
notizia viene recapitata
all’orecchio attento
di chi non vuole
stare a sentire.

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Pacchetti di vita

La vita non offre molto
anche se a volte ci si ricrede.
Offre un libro gratis
da avvenente turista americana.
Un pazzo sul treno
che sicuramente è l’ossigeno.
Una meretrice africana
che ti attira a sé col più scontato degli
“Ah bello!”.
Una Peroni in piazza Trilussa affollata
presa al solito baretto
dove l’esercente
è sicuramente Dio.
Un giorno di malattia inventata
strappato al lavoro quando si è più morti che vivi.
Un po’ di solidarietà e di conferme
da chi non ti aspetti affatto.
Una vacanza nel regno della follia
che dura quanto un bacio rubato a Trastevere.
Una serie di paranoie sensate e non
che ti rendono succube
di tutte le turiste vagabonde in stazione.
Un milione di banalità verbali
per ogni persona che muore
più o meno malamente.
Offre ipercalorici pasti consumati
in tavole calde californiane
di desertiche ambientazioni
pseudo messicane.
Una birra alla salute di ogni
“Bella passante”
che non ha ricambiato il tuo sguardo
maniacalmente alterato.
Un saluto ed un bacio in testa
alla bellezza vivente
presente nel temperamento
della gente semplice.
Un moto di rigurgito per gli intellettuali
che si parlano continuamente addosso
e per i “borghesi” che per moda
dicono di sì con la testa.

La vita offre molte cose ed altrettante te ne nega…

…e di tutto ciò che la vita
offre/non offre
io Pe-tro-li-ne-sca-men-te
“Me ne fregio”
e “M’accompagno da me”.

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Non ho tempo

Nucleare.
Come poetica centrale
chiamata a riscaldare
gli inverni radioattivi del mio cuore!
Complementare.
Come un angolo acuto
che contrasta e compensa la mia ottusità!
Siderale.
Come giorno perenne chiamato
a rischiarare le mie notti artiche!

Di te non rimangono altro che parole
indistinte e mal pronunciate
dalla mia bocca.
Di te rimane sulla mia pelle
soltanto il desiderio,
la passione, la dolcezza
mai assaggiata.

Amorevole sentinella del tuo cuore.
Guastatrice dei miei sogni
oramai abitualmente infranti!

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Morto

Morto.
Deserto di farina di tapioca.
Banane fritte.
Ortaggi rinsecchiti.
Ottimo gusto per il macabro.
Necrofagi moralisti.
Nichilisti amanti dei valori.
Atei adoratori di Dio.
Sacramenti dissacrati.
Ottimizzazione dello schermo.
Alte risoluzioni per voli
sopra baratri oscurati
da pixel scarsamente definiti.
Dossi perenni.
Ghiaccio effimero.
Dune modellanti distese
fatte di sabbia solida.
Composizioni insolite miste a menti
che elaborano cose solite.
Morbose.
Noiose.
Per niente accattivanti.
Simbiosi di circuiti malati.
Idiosincrasie nate in seno
ad una commistione di stili
che comunicano con diversi protocolli
incompatibili tra di loro.
Solitudine fatta di ansia.
Decessi fatti di sublime bellezza:
morte in apparenza.
Vita estrema nella sostanza.
Occorre un paradiso artificiale
per mascherare la sostanza di ‘sto
inferno fatto di automobili ronzanti.
Sinteticamente penso che tutto
si giochi in un campo che ha poco di umano
e molto di sintetico.
Non sintetizzo clorofilla.
Non mangio sostanze nocive erbacee.
Modello di defunto messo in auge
dalla sua morte prematura.
Prega su una tomba fatta di superbia.
Prega e dispensami dal castigo estremo.
Arrivederci alla prossima volta
in cui ho voglia di morire.

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Morte dell’artista

È preminente.
Morendo a quel modo,
tirati sotto a un treno.
Migliori o peggiori che siano
quel che più dispiace
è che se ne vanno,
urlando silenziosamente.
Straziati da una raffica
di Vita
troppo densa
per essere iniettata direttamente
nelle vene.
Travalicando pensieri inespressi.
Parole come inaspettati decessi.
Come protesi verbalmente falliche
penetranti dolci sussurri
attestanti barlumi vitali prossimi
allo spegnersi.
Una testimonianza d’amore
“rubato”,
bruciato dal tempo maturo,
dal fatal gesto di falce.
Fendente unico vibrato come un lieve respiro
nel dolce fremito della notte.
Dalla sua bocca mai più udrà
quel candido canto di speranza,
quello splendido vigore suo caratterizzante.
La melodiosa chitarra della sua anima
mai più tesserà urlanti inni alla gioia.
Dalle sue mani il colore è uscito tutto in una volta,
macchiando col più grosso ed indelebile dipinto
il ventre di lei, capolavoro inespresso della sua voce
moncata dai prematuri giochi del fato.

Ricordato è e sempre sarà
come amico sincero, tenero amante,
solidale genio compreso dai molti:
sorriso illuminante materia artistica astrusa.
Poliedrico in tutto.
Verbalmente dotato.

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Mors tua laetitia mea

L’odio non è passeggero
e forse neanche la solitudine
Le malate giornate di Marzo
imprevedibili
generano oceani di tristezza
incommensurabili
Pressione comprime tempie ataviche
memori di retaggi millenari
Alterati cinque sensi adulteri
scacciano un coraggio minimo
strappato con forza
alle mani accidiose della disperazione
L’estensione della nostra anima “a salve”
spaventa i corvi della morte oculare
pittorica
Sagoma spirituale sconosciuta
impressa in retina pochi attimi fulminei
Il resto non si da… mai:
sepolto in cimiteri di tasche al verde
rimane invariato
L’incontinente voglia di essere
altro
o perlomeno altrove
difficilmente trova dighe
Ostacoli alla violenza acquosa
NeraSalmastraComePeceOleosa
corrodente sogni di normalità
La cadente neve oscillante
dona silenzio rivelatore
ammantato di soluzioni inaspettate
Un finale di passi sganascianti
che scendono isterici
per i declivi della vita

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Monitor di moniti

Mi trovi sempre qua.
Mai cambiato come tempo fa.
“mi hai cambiato” è un’eventualità
che nessuna donna può
permettersi di augurarsi
dal me stesso medesimo.
Dal sottoscritto
la solita schiena curva
sopra una tastiera…

non di là
e neanche dall’altra parte

mi troveranno… se mai ce la faranno
sempre e comunque qua.
Davanti al mio monitor di moniti.
Davanti alle mie fobie
da timido inguaribile.
Di fronte alla sfrontata
altezza cartacea
nervosamente costruita in questi anni.
MIO è il progetto per questo
grattacielo traballante fatto di lettere
poste in bilico le une sulle altre.
Km percorsi con le dita…
infiniti…
un poeta beat al contrario
con molte più parole
che passi mossi
che passaggi presi.
Rivendicante paternità
di figli
non deformi
ma quantomeno eccentrici e
fuorvianti.
I fiori del mio male personale
cingono la mia testa
come corona di spine intestinali
che feriscono e affondano
in tempie pulsanti
di tumori lessicali.

Sparami! Prova a sradicarmi…
impresa ardua la tua

mi allontano sempre più
restando sempre qui

doppiando i tuoi dubbi
sorpassando di gran carriera

le tue insoddisfacenti verità!

Sfreccio sopra l’altrui ingordigia
pronto a nutrirmi soltanto
dei rari frutti della
fragile speranza.
Le vacche grasse
estive
di cui vi siete per troppo tempo nutriti
sono finite!
Gelidi artigli
mi negano la vista chiedendomi:
“Indovina chi è?”.

Sono il solito
citazionista nomade che viaggia
sopra i treni iperaffollati
ed ammuffiti della vita.
Mi trovi lì
intento a svolgere il mio lavoro
sottovalutato dai molti.
I molti che non capiscono.
Che alle mie spalle per il momento
si divertono.
Tremeranno di fronte alla mia
mole da titano alfabetigammizzato!

Mi trovate sempre qua
pronto a sfidare le bufere
intransigenti dei secoli.

Contro il vento sbatacchiante
gli alberi da frutta che nutrono
i semi dirompenti dell’amore.

Davanti… mai dietro
al mio monitor danzante
ammonente i fieri figli di Eva
dal cogliere ulteriori frutti
dall’albero gravido dell’ignoranza.

Trovatevi lì davanti
quando io non ci sarò più:
vi guarderò divertito mentre decifrate
in maniera minuziosa e diligente
le mie lettere tentennanti
dai significati controversi!

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Mi rubi la mattina che mi sveglio da solo

Al ritorno dei sensi stamattina
tu non c’eri.
Spiacevoli sensazioni mi assalgono
e tutta la mia inquietudine si sfoga
martoriandomi le carni
stupide ed inutili.
L’unico mio sollievo è un cuscino
con il quale mi avvinghio
illudendomi di trarne un qualche beneficio
affettivo.
Mentre penso a te.
Mentre la mia mente cerca di raggiungerti
in maniera spasmodica.
Il mio corpo astrale non riesce
ad uscire dal mio corpo mal funzionante.
Non riesce a raggiungerti in nessun modo:
a portarti quelle carezze fatte di mantici
candidi che donano nuove folate di
amorevole calore.
A stringerti di quegli abbracci che
alzano incredibilmente la pressione.
Sognando per volte infinite
senza mai annoiarmi
il fondo vorticoso dei tuoi occhi
nel quale potermi perdere
e sentirmi inspiegabilmente al sicuro.

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Mi chiudo nella tomba e non voglio sentire

È morta la poesia.
È morta la musica.
È morto tutto.
Mi chiudo nella tomba
e non voglio saperne
più niente.
È morta l’ispirazione.
Viene azzerata
da lavori alienanti
anche se ben retribuiti.
Mai credere di perdere l’attitudine
nel saper fare un qualcosa.
Mai rifiutare l’amore
anche se sicuramente
ci farà soffrire in futuro.
Mai ritenersi ciechi
quando si hanno occhi
più che funzionanti.
È la fine del divertimento.
È la conclusione inaspettata
che conferma le ipotesi di pronostico
di chi non si è mai arreso.
È la morte della credibilità.
Vane speranze.
Partite di scacchi
giocate solo a metà.
Pedine nere arroganti
la fanno da padroni
sottovalutando gli avversari.
È lo schiacciante pressare
di piedi giganteschi
che affondano
nel terreno.
Mai permettersi distrazioni
in periodi incerti.
Bado ad evitare
gli sguardi complici
soprattutto quando sono già impegnati
a guardare anche qualcun altro.
È morto l’ideale
di speranza
in cui credevamo.
È morto
ma l’ha resa bene
e non gli ha mai regalato niente.

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